NON BOOK ARTIGIANALE: IL CASO DI BOOK-A-PORTER

La redazione del "Giornale della Libreria" mi ha intervistato.




Il non book è ormai parte integrante di molte librerie, tanto di catena quanto indipendenti. Che si tratti di oggetti di cartoleria, di uno spazio bar, di corsi ed eventi o di oggettistica varia, fa parte dell’assortimento che molte delle librerie che meglio hanno resistito durante questi anni di crisi hanno saputo sfruttare e «piegare» alle proprie caratteristiche.
E gli stessi produttori di oggetti adatti alla vendita come non book in libreria, in particolare per quanto riguarda le realtà più piccole, hanno saputo crearsi un proprio spazio che non solo comprende la libreria, ma talvolta la supera, andando a intercettare i propri clienti anche da sé. Un esempio di questo approccio è, senz’altro, book-à-porter.

L’idea alla base di questa piccola impresa artigiana parte da un’esperienza che tutti i lettori, prima o poi, hanno vissuto: si mette il libro nello zaino o in borsa, si esce di casa ed ecco che, una volta tirato di nuovo fuori il libro, c’è una piega, un graffio, magari uno strappo, che si sia posta o meno attenzione quando lo si è portato con sé. Una situazione che, per chi desidera conservare i propri libri nella miglior condizione possibile, è quanto meno spiacevole.

Marina Buttazzoni, dunque, fondatrice di book-à-porter, partendo da un’idea e da qualche scampolo di tessuto ha cominciato a realizzare confezioni per libri di tutte le taglie, che non siano solo oggetti utili ma anche belli da portare in giro con sé.

«Realizzo personalmente i portalibri uno ad uno a mano, seguo tutto il processo di produzione, dallo sviluppo dei prodotti, al disegno, dalla selezione dei tessuti e degli elementi decorativi alla fase di cucitura e confezionamento, fino alla stiratura» ci racconta Marina Buttazzoni, parlando della sua attività, che nel corso degli anni si è sviluppata su più fronti: ora, ad esempio, le «taglie» delle sue creazioni sono aumentate, per andare a comprendere anche tablet, quadernoni, e-reader, e molto altro ancora.

«Collaboro con delle librerie, qui a Udine – dove vivo – attraverso il circuito di librerie indipendenti Libreria diffusa: per ognuna consegno dei portalibri con dei temi e delle fantasie che non si sovrappongano tra loro». Un modo non solo per essere presente in tutti i punti vendita, ma anche per mostrare la varietà del progetto e le possibilità che può offrire. Gli esempi, nell’esperienza della Buttazzoni, non mancano: «collaboro anche con un concept store a Pordenone, che durante l’edizione di quest’anno di pordenonelegge ha organizzato un evento per cui ho presentato una collezione apposita, dedicata al gatto nero su sfondo giallo che ha caratterizzato la manifestazione».

Un modo, dunque, per unire il non book non solo al libro, ma agli eventi in cui il libro è protagonista: merito senz’altro della «agilità» di un’attività artigianale come book-à-porter, che però può essere d’esempio nel progettare oggettistica che non sia solo un accompagnamento per il libro, ma che rappresenti effettivamente qualcosa di più offerto al cliente-lettore. Una prospettiva che forse qualcuno sta già cogliendo: Book-à-porter, infatti, ha all’attivo collaborazioni con aziende (come quella con «un’imprenditrice locale del settore moda [che] ha commissionato dei porta cartella stampa personalizzati, con logo e una tasca per le chiavette USB», per cui sono stati usati i tessuti della collezione stessa, andando a creare una sorta di continuità e di storytelling del prodotto), case editrici («ora sono in contatto con un editore che mi ha chiesto una piccola serie per creare un “pacchetto regalo” per i propri lettori») e si sta attivando per presenziare direttamente alle fiere di settore. Un investimento importante, ma che potrebbe avere ottimi ritorni, com’è successo a Bookpride: dove, «nonostante avessi il timore di essere vista come “portatrice di merchandising”», i portalibri sono stati accolti calorosamente, tanto dagli espositori quanto dai clienti.

Le cover per tablet che book-à-porter ha realizzato per Taffimai, casa editrice digitale

L’esempio di book-à-porter, dunque, può essere una fonte d’ispirazione non solo per chi potrebbe utilizzare questa tipologia di non book sempre più popolare – artigianale, unica, che ben si affianca ai progetti di piccole e medie realtà editoriali e librarie – ma anche per chi ha un progetto simile e può avviare una proficua collaborazione, sulla scia dei porta-libri, con punti vendita particolari come le librerie.

L'autore: Camilla Pelizzoli
Editor presso la redazione del Giornale della libreria. Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).